Coronavirus: morto Vittorio Gregotti, maestro dell’architettura del Novecento

Coronavirus: morto Vittorio Gregotti, maestro dell’architettura del Novecento

Aveva 92 anni. Ricoverato in seguito a una polmonite da coronavirus a Milano, è scomparso domenica mattina. Il cordoglio sui social: «Gli dobbiamo moltissimo»

Publicat al Corriere della Sera el 15 de març de 2020

È morto Vittorio Gregotti. Nato a Novara il 10 agosto 1927, il grande architetto, urbanista e teorico dell’architettura è scomparso domenica mattina a Milano. Anche la moglie Marina Mazza è ricoverata nello stesso ospedale.

Era ricoverato alla clinica San Giuseppe di Milano in seguito alle conseguenze di una polmonite da coronavirus. Tra i progetti più importanti realizzati dalla Gregotti Associati International (lo studio da lui fondato nel 1974) il piano di sviluppo del quartiere della Bicocca di Milano (1985-2005), il Centro Cultural de Belem a Lisbona 1988-1993), a confermare la dimensione internazionale del lavoro di Gregotti, e il teatro lirico di Aix-en-Provence (2003-2007), forse una delle realizzazioni da lui più amate.

Nel 1975 aveva curato la Biennale di Venezia, la prima in cui aveva fatto ufficialmente comparsa l’architettura «come ampliamento del settore Arti Visive». Il suo ultimo lavoro la ristrutturazione da ex fabbrica a teatro del Teatro Fonderia Leopolda a Follonica (Grosseto).

Sui social il cordoglio non solo degli italiani, ma di tutti gli appassionati di architettura: messaggi dal Giappone, dalla Spagna, dagli Stati Uniti. E da tutte le testate per cui Gregotti aveva lavorato, come «Casabella». Il cordoglio del rettore del Politecnico di Milano, Ferruccio Resta: «Un grande uomo di cultura al quale dobbiamo molto e che non dimenticheremo».

Anche l’architetto e presidente della Triennale Stefano Boeri si aggiunge alle voci di chi piange Gregotti. «Se ne va, in queste ore cupe, un maestro dell’architettura internazionale, un saggista, critico, docente, editorialista, polemista, uomo delle istituzioni che ha fatto la storia della nostra cultura».

A chi gli chiedeva quali fossero i progetti di cui andasse più fiero, Vittorio Gregotti era solito rispondere cosi: «Il lavoro che mi rappresenta di più è sempre l’ultimo».